Deserto

19 settembre 2016

Mille ancora i chilometri che mi restano da percorrere per arrivare alla meta che mi ero prefisso: Eureka (California).
Ma ci vorrebbero ancora mille giorni per imparare a viaggiare davvero. Diceva infatti Lao Tzu, quello che ha scritto il libro del Tao, che il vero viaggiatore non fa piani e non ha come intento quello di arrivare, a significare che il viaggio è anzitutto una dimensione interiore di accettazione della realtà e di propositiva azione dinamica nell’affrontarla.
Questo contare i chilometri e contare i giorni che mi separano dal ritorno a casa, sono invece la prova che ho tanto da imparare ancora! Ma so che la mia vita sarà lunga quanto basta per permettermi di imparare quello che dovrò essere.

Per esempio, vi racconto due episodi illuminanti che poi ho deciso di chiamare “lezione sulla fiducia”.
E’ domenica, ho dormito bene a Brigham city, Utah, ho fatto la povera colazione del povero motel ma parto tranquillo, ho acqua e provviste in abbondanza perché non è chiaro se dove arriverò ci sarà un motel o dovrò campeggiare. Il sole è velato e la brezza leggera, una giornata ideale per la bicicletta. In direzione ovest, come sempre, le case diventano sempre più rare fino a scomparire proprio del tutto. Ad un certo punto la segnaletica mi dice che sto passando a fianco ad un poligono di ricerca missilistica, da cui anche un tontolone come me intuisce che siamo nel deserto, o quasi.
Ma la strada è asfaltata e qualche macchina di famigliole in gita ogni tanto mi supera allegramente. Infatti, qualche miglio più avanti c’è una deviazione che porta al Golden Spike, il luogo dove si sono congiunte le ferrovie che venivano dall’est e dall’ovest. Ricordavo di aver letto questa cosa sul mio libro di storia degli Stati Uniti, ma siccome collocava il fatto nei pressi di Ogden, dove sono passato ieri, non ci pensavo più, dimenticando che qui, cento chilometri, vuol dire essere ancora nei pressi!

Golden Spike

Faccio anch’io la deviazione, sto bene cosa vuoi che sia sprecare 4, 5 miglia. Il piccolo museo, con i ranger che fanno le guide, il parcheggio enorme semi vuoto, neanche un bar per rispetto alla sacralità del luogo, insomma ne valeva la pena.
Ritorno poi sulla mia strada, ho fatto circa 50 dei chilometri programmati per quel giorno, bisogna pedalare ancora.
Ad un certo punto finisce l’asfalto e comincia la strada di ghiaia: avanti sempre.
Macchine ormai basta. Ce n’è qualcuna parcheggiata poco distante dalla strada, di gente che piazza i bersagli e si esercita a sparare. La piana è assolata, a sud si vede in lontananza il bacino del lago salato, a nord, dei rilievi aridi. Sono ormai le tre del pomeriggio, ho già fatto 70 chilometri, quando incrocio qualche macchina mi fermo a coprirmi il viso per non respirare il polverone che alza.
Dapprima uno si ferma, si scusa per la polvere, mi chiede dove vado e mi da acqua per ricaricare tutte le mie bottiglie. Dopo un po’ stessa scena, solo che stavolta scende, vuole vedere le mie mappe e mi da indicazioni precise di dove devo girare. Mi da ancora acqua e tre noci pesca.

incontri nel deserto

Proseguo ammirato da tanta attenzione e seguo le mie mappe, non pensando alle indicazioni che mi ha dato.
Dopo qualche chilometro la strada finisce, diventa una pista sabbiosa in mezzo alla sterpaglia arida; quando c’è campo, Google maps mi dice che sono sulla strada giusta, ma più vado avanti e più dubito.
Ogni tanto mi impianto nella sabbia e nei sassi. Prego di non forare, quando vedo attraversarmi davanti una lepre inseguita da un gattone selvatico, sopra la testa non volteggiano ancora gli avvoltoi e allora mi faccio coraggio. All’ennesima buca dove mi impianto sento un sibilo e un rattle rattle, che mi ricorda i serpenti a sonagli dei fumetti di Tex Willer, a cui prontamente rispondo con il campanello della bici, per sentire poi di nuovo solo il vento che fa da sottofondo.

il deserto
Arrivo davanti ad una barriera di filo spinato, trovo il modo di passare dopo aver consultato la mappa per vedere da che parte devo andare.
Procedo lentissimo, il sole picchia e bevo razionato.
Un’altra barriera di filo spinato, ma ormai so come si fa. Il vento si fa più forte e alza mulinelli di sabbia. Lepri, gatti selvatici e qualche altra bestiola ogni tanto si affrettano a scappare quando mi sentono arrivare. Il tramonto rosseggiante mi si staglia di fronte all’improvviso per ricordarmi che il tempo è passato e strada non ne ho fatta molta.
Mi guardo intorno e vedo solo desolazione e deserto.
Non mi resta che proseguire, anche se una certa preoccupazione ormai mi accompagna da qualche ora. Sta cominciando ad imbrunire, la palla rossa ormai è nascosta dietro le colline di fronte, continuo a scrutare davanti a me alla ricerca di qualche segno che il deserto è finito, finchè lo vedo, eccolo! Una emozione enorme mi invade, energie insospettate arrivano ai muscoli e volo, si fa per dire, verso il più bel palo della luce che io abbia mai visto in vita mia. Tu chiamale, se vuoi, emozioni.

Nessuno si è mai emozionato alla vista di un palo della luce. A me è successo, nel deserto dello Utah, tra Salt Lake city e Cedar Creek che è dove volevo arrivare.

3 Comments
  1. Mancano pochissime ore…chissà come festeggerai?!?
    Un altro anno è passato e stai riuscendo a realizzare il Progetto a cui tanto tenevi…
    cercando la libertà…sicuramente stai trovando una giovane felicità…e credo pace!
    Baci

  2. E’ una grande emozione leggere il tuo diario ,
    ci sembra di vederti passare in lontananza ,
    hai tutto il ns. sostegno e un po di invidia ,
    non mollare e buona strada.
    Lory e Paolo.

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