prima di Santiago – Ultima sigaretta

U.S., ultima sigaretta.

Fin da quando ero ragazzo, mi rincorreva la memoria di quelle iniziali così ultimative che Zeno, il protagonista della famosa coscienza di Italo Svevo, scriveva ovunque, ossessionato dal suo vizio e dall’idea della necessità di liberarsene.

U.S., ultima sigaretta.

Fumavo con intensità degna di un premio dal voracissimo fisco italiano, fin dalla prima liceo. All’inizio incerto e discontinuo come le scarse finanze in tasca di un liceale di provincia e come il senso di libertà di un adolescente che non sa ancora quanto può spingersi sulla via dell’autonomia. Poi, da quando lo stress dell’esame di maturità ha giustificato la pubblica ostentazione del vizio, è stato un crescendo continuo di sigarette giornaliere; di tutte le marche in commercio, sono arrivato fino a 60 sigarette al giorno, quando il giorno comprendeva anche le notti in bianco di sentinella sul confine orientale.

U.S., ultima sigaretta.

La prima volta che ho provato seriamente a smettere è stato durante il primo anno di teologia a Bologna. Non ero l’unico che fumava in seminario, forse ero l’unico che non lo faceva di nascosto, grazie alla mia condizione di laico ospitato. Su suggerimento del padre superiore, mi sono fatto aiutare da tre sedute di agopuntura ed ho smesso, del tutto, subito. Giocavo a pallone due volte a settimana, andavo in bici sui colli bolognesi nelle giornate libere dopo ogni esame, e le lunghe partite a risiko il sabato sera in una taverna no smoking area mi hanno aiutato a non fumare. Ma poi avvenne il miracolo. Ero a Lourdes d’estate, accompagnavo un treno violetto come barelliere, e dopo la lunga giornata pia e solidale, si finiva in 7 od 8 dame e barellieri intorno ad una birra in un locale sul viale della Basilica. La stanchezza, la noia in parte, la voglia di qualcosa di forte, la compagnia fumante e tentatrice, infine, mi fecero capitolare. Forse gli aghi non erano andati così a fondo, sta di fatto che ripresi con  regolarità anche se a intensità moderata, non più di una decina al giorno. E così feci il secondo anno di teologia.

U.S., ultima sigaretta.

Arrivato al noviziato, pensavo che sarebbe stato normale avere le energie e la forza per smettere del tutto. E così dopo l’astinenza della prima settimana di ritiro spirituale, il giorno del mio compleanno, dopo la torta e il caffè, mi concessi quella che pensavo sarebbe stata l’ultima sigaretta. Eravamo otto novizi seduti allegramente sulla terrazza da cui si vede la conca di Arco in fondo al dolce declivio di Bolognano, ci conoscevamo bene tutti e la mia sigaretta era così naturale che nessuno se ne era accorto. Ma il padre maestro che era nuovo del gruppo ed era anche tanto preso dal suo ruolo di fabbricatore seriale di santi religiosi, intervenne con una qualche rudezza, umiliandomi davanti a tutti con una reprimenda che io non ho mai fatto neanche ai miei figli quand’erano piccoli. E questo, purtroppo, ha arricchito di simbolismo anarchico  quella mia ultima sigaretta, impedendole perciò di essere l’ultima. Quante energie dedicate a ribellarmi con la sigaretta all’autorità del padre maestro! E quante meravigliose relazioni e amicizie fattesi complici nella mia perpetua ricerca della sigaretta della libertà! Un caro amico me le spediva da Bologna inscatolate come un libro. Con la cuoca, un gioco continuo di sguardi e sussurri, meritevole di qualcosa di più carnale, per indicarmi l’angolo della cucina dove era nascosto l’oggetto del desiderio. La madre badessa del monastero dove andavo una volta al mese a ritirami per la purificazione e la meditazione, invece, rubava tre o quattro sigarette dalla tasca del contadino che le aiutava nei campi e me le portava nella mia celletta insieme a un panino e a una mela: era mia complice nell’infrangere anche la regola del digiuno e forse è stata la prima persona della mia vita che mi ha fatto capire la distinzione tra rispetto delle regole e attenzione alla persona.

U.S., ultima sigaretta.

Interrotto poi il noviziato, tornai a casa, studiai, lavorai, girai il mondo, conobbi gente, feci cose sempre fumando, un pacchetto al giorno più o meno. Mi sposai anche, e dopo qualche tempo smisi di fumare. La pienezza di senso e la soddisfazione affettiva non lasciavano spazio a surrogati. Un anno quasi di astinenza, finché una delle crisi che poi diventeranno ricorrenti, non mi fece riprendere il vecchio vizio. E come se fosse la reincarnazione del padre maestro, la povera ragazza mi fece la scenata: deja vu! E sigaretta fu, ancora un pacchetto al giorno.

U.S., ultima sigaretta.

Quando nacque Anna, cominciai i mille tentativi senza fortuna; nacque anche Giovanni ed ero ancora alle prese con i tentativi infruttuosi. Ma finalmente mi ammalai e senza voce, con un gran mal di gola, una bronchite, un po’ di febbre, dopo la prima sigaretta del mattino, mi rimisi a letto e arrivai a sera senza toccarne una. Alla sera decisi di lasciare passare la notte e al mattino dopo, ancora imbolsito, dopo il caffè del mattino scelsi di non fumare. Decisi di provare a resistere alla tentazione e ruppi la meccanicità dei gesti e dei momenti legati alla sigaretta. Era il 20 maggio 2004.

U.S., ultima spiaggia, United States, ultimo scorso, unione sportiva, umidità specifica, unità stratigrafica …

Ritorneremo su questa faccenda dell’U.S., ma prima devo dire che un anno dopo l’ultima sigaretta del 20 maggio 2004, ho deciso di comprare una bicicletta.