prima di Santiago – Direzione sud: 5° giorno

La mattina del quinto giorno lasciai volentieri l’albergo in cui avevo dormito. Alla luce del giorno mi sembrava anche più brutto di quello che mi era sembrato la sera prima. Avevo dormito già un’altra volta a Faenza, tanti anni prima quando frequentai il corso per dirigenti di cooperative sociali organizzato dal Consorzio Gino Mattarelli, che proprio perché intitolato a quel signore che era parte della storia di faenza e della cooperazione aveva trovato ospitalità nel seminario locale. Un caldissimo week end di luglio del 91 o del 92, a combattere con l’afa, con le zanzare e con l’incertezza della bontà di quella scelta. Ero un giovane manager in carriera, capofiliale a Padova di una multinazionale del trasporto espresso via aerea, e da un paio d’anni lavoravo con impegno in Unica Terra, tentando di esprimere un servizio a favore degli stranieri attraverso il volontariato. Il corso per dirigenti mi era stato proposto da G.S., un guru della cooperazione padovana, in risposta alla mia domanda di aiuto per dare efficacia alla mia azione volontaria. Ora capisco che l’efficacia dell’azione volontaria passa attraverso l’efficienza del servizio che si presta, in una logica di impresa sostenibile. Allora nel caldo della piana emiliana, sentivo tante parole ma ancora non vedevo chiaro, ma in qualche modo ero contento di essere messo in discussione da un mondo molto diverso dagli schemi delle multinazionali in cui avevo lavorato fino ad allora. Il seminario che ci ospitava lo riconoscevo come familiare, pur essendo la prima volta che lo vedevo, ma assomigliava a tutti i seminari in cui per tanti anni avevo vissuto. Il gruppo invece era eterogeneo, una ventina di persone da tutta Italia, generalmente con qualche anno più di me e con esperienze pluriennali in cooperative che si dedicavano ai  minori, agli anziani, ai disabili; io ero l’unico che non aveva una cooperativa alle spalle e l’unico che si occupava di immigrati; niente di strano, nel corso degli anni avrei imparato a essere spesso considerato singolare nei consessi di categoria. Ecco, mi piacerebbe parlare della categoria dei cooperatori, ma così non arriverei a casa in tempo!

Passai per Lugo di Romagna, pensando alla bella chiesetta di san Pietro sulla collina sopra a Lugo di Vicenza in un pomeriggio di beatitudine; e passai per Argenta e mentre vedevo tutte quelle auto e furgoni e camion abbandonati in un enorme piazzale pensai che sarebbero stati utili per la mia cooperativa, salvo scoprire al primo bar dove chiesi di chi fosse tutto quel ben di Dio che era il parco mezzi della più grande storia fallimentare della cooperativa costruttori di Argenta che un paio di anni prima era morta sotto il peso di un miliardo di euro di debiti. Uno spavento, un momento di terrore al pensiero di quante famiglie rovinate da una storia d’impresa che finisce male. Accelerai per scappare da quelle nuvole nere sul mio cuore, ma anche per arrivare in tempo a casa. Ormai si faceva sera e io stavo ancora attraversando il Polesine, ero stanco avevo fatto quasi 100 km e cominciai a guardarmi intorno per trovare un posto dove dormire.

Immaginare però che mi sarebbe stata rinfacciata per sempre l’assenza da casa di sabato per aver dormito in qualche posto infame in provincia di Rovigo, mi ridiede nuove energie e ripresi a correre di buona lena finchè attraversai il ponte sull’Adige ad Anguillara Veneta.

Mi fermai al bar della piazza davanti alla chiesa, osservato come un alieno dal barista e dagli avventori.

Guardavo la Chiesa di fronte e la scuola media a sinistra e scoppiai in una risata fragorosa.

Venti anni prima insegnavo religione nelle 11 classi di quella scuola. Il mio primo lavoro dopo essere uscito dal noviziato dei Dehoniani, e in mezzo ad una profonda rivisitazione del mio percorso esistenziale, più brevemente in mezzo ad un gran casino, avevo comunque voglia di fare e mi piaceva stare con quei ragazzi e ascoltarli e provare a dirgli che il mondo era grande e bello. Mi resi disponibile ad accompagnare tutte le classi in gita scolastica, con grande gioia dei colleghi che potevano quindi esimersi da quella gran rottura. Mi pare con le seconde, andammo a San Marino, e dopo aver girato in lungo ed in largo finalmente verso sera torniamo al pulman. Ne manca uno, il terrore corre nei nostri occhi e il cuore si ferma per qualche secondo. Dai ragazzi nessuna informazione precisa, andiamo di corsa al posto di polizia e troviamo in sala d’attesa il nostro ragazzo. Ci stavano aspettando, l’avevano pizzicato che stava rubacchiando qualcosa in qualche negozio di souvenir.

Il giorno dopo con il preside e i docenti convochiamo i genitori. Si presenta il padre, siamo in piedi in ufficio di presidenza, il preside illustra i fatti, il ragazzo si guarda i piedi tutto compunto ed io penso che talvolta si può imparare molto anche dagli errori, quando all’improvviso si sente uno sciaf tonante: era il manrovescio che il babbo aveva stampato sulla nuca del figlio “a te o gò sempre dito che no te ghe da fate ciapare, mona, e deso co te vien casa te dago resto”.

Restammo tutti ammutoliti. Il preside, un marchigiano ben educato quasi svenne.

E ci venne in mente quando in alcuni tardi pomeriggi d’inverno, a margine dei collegi docenti, in cui si constatava una situazione disastrosa sul piano della condotta e dell’urbanità di certi comportamenti, il professore più anziano concludeva dicendo ”ricordatevi che Anguillara era colonia penale della serenissima repubblica, da qua non può uscire niente di buono”.

Smisi di ridere, finii la mia cena e ripartii che ormai era buio; attraversai veloce la bassa padovana con il cuore sempre più pesante. Volgeva al termine la mia fuga, il mio spazio vitale era finito.

Arrivai a casa poco dopo mezzanotte, entrai in casa pianissimo, andai a vedermi i ragazzi che dormivano beati, e dopo una doccia mi infilai sotto le lenzuola.

5° giorno – Faenza (Ra) – Piove di Sacco (PD) km. 160,0

Senza saluti il sabato mattina arrivò veloce e io ero al mio posto. O meglio il mio involucro era dove si attendevano che fosse, il mio spirito pedalava ancora.